mercoledì 20 ottobre 2010

INTERVENTO DI CLAUDIO LAZZARO AL NO BERLUSCONI DAY 2

-
                                                                                        2 ottobre 2010

CONTROINFORMAZIONE.
Mi hanno chiesto di raccontare le mie personali esperienze in quella che viene definita la controinformazione.
Approfitto dell’occasione per gettare la maschera. Io non sono un giornalista che fa controinformazione, io sono soltanto un giornalista che fa informazione.
Ma vengo considerato un giornalista di controinformazione. Forse perché mi sono concesso il lusso, dopo trent’anni di giornalismo nelle grandi testate, di fare giornalismo in modo del tutto libero. Realizzando i miei documentari.
In una situazione in cui l’informazione è sempre meno libera, chi riesce a fare informazione indipendente diventa una specie di sovversivo. Faccio un esempio:  Il Fatto quotidiano, che è un giornale senza padroni, in cui i giornalisti sono anche editori. Un giornale indipendente che non ha finanziamenti politici. Bene, Il Fatto non viene inserito in alcune rassegne stampa televisive. Come dire: “Quelli non fanno informazione, quelli  sono pericolosi”.
Il mondo al contrario.

I FILM
Per quanto mi riguarda, ho fatto un film sulla Lega Nord, Camicie Verdi, quando i leghisti stavano al potere. Tutti prendevano per buone le loro dichiarazioni ufficiali, ma non andavano a vedere la Lega dall’interno. Io l’ho fatto. Il film è uscito prima del voto sulla devolution. La Lega voleva spaccare il Paese, ma nessuno ti faceva vedere in televisione la vera faccia di quelli che ti stavano vendendo la devolution. Nel mio film vedi Corinto Marchini, il fondatore delle Camicie Verdi, che racconta di quando Bossi gli diceva di tenersi pronto a sparare sui Carabinieri.  Ma la faccia della Lega che si vedeva in televisione era bonaria  rassicurante: “Ogni tanto abbaiano, ma sono bravi ragazzi”. Non è così.

Adesso, per mettere i dirigenti della Lega al riparo da un processo durato 14 anni,  il governo ha infilato in un decreto, ben nascosta, la depenalizzazione del reato di banda armata. Perché anche questo era la Lega all’inizio, prima di rappresentarsi, con l’aiuto dei media, come forza politica istituzionale e riformista.

Poi ho fatto Nazirock, un film sullo sdoganamento politico dei nazifascisti. Tra l’altro ho filmato la manifestazione di Berlusconi contro Prodi, in questa piazza. Sul palco insieme a lui c’era Romagnoli, uno che mette in dubbio l’esistenza delle camere a gas. E Berlusconi accarezzava la bandiera del suo partito, la Fiamma Tricolore, in cui militano, tra gli altri, i nazi del Veneto Fronte Skinheads.
E tutto questo sembrava normale. Almeno a giudicare dall’assenza di reazioni dei media che contano. Tutto normale. Nel mio piccolo film si vede che non è normale.
Volevo fare un film su Berlusconi,  sempre per  raccontare i rischi che la democrazia corre in Italia. Xenofobia, razzismo, neofascismo, ma anche l’anomalia  Berlusconiana.

GLI AVVOCATI
Il mio avvocato diceva: “Se fai un film così su Berlusconi i suoi legali ti mandano a dormire nei cartoni”.
A proposito di avvocati.  Nazirock mi è costato qualcosa come sei o sette (ho perso il conto) procedimenti giudiziari per diffamazione. Personaggi con una fedina da paura mi fanno causa perché dicono che li ho diffamati. Perfino Iannone, quello di casa Pound, di cui non ho mai parlato, mi fa causa e io devo pagare un avvocato a Bergamo. Poi ne ho uno a Milano e uno a Roma, per seguire i vari procedimenti. Gli avvocati costano, il tempo ha un prezzo e così i nuovi fascisti cercano demolire chi fa libera informazione.

BANDIERA VIOLA
Bandiera Viola è un film su Berlusconi. La manifestazione del 5 dicembre mi ha permesso di dire tutto quello che c’era da dire su di lui e sul berlusconismo, attraverso le testimonianze delle persone straordinarie che si avvicendano sul palco. E nello stesso tempo, dopo la Lega e i nazi, mi ha permesso di fare il mio prima film ottimista. Perché parlo di giovani che non si fermano al lamento, ma reagiscono e si inventano un nuovo modo di fare politica, divertente, dinamico, incontrollabile, trasversale, al di fuori dell’influenza dei partiti.
Il Non B Dai del 5 dicembre è stata la Woodstock del dissenso.
Tra pochi giorni trovate il film al sito www.bandieraviola.net

E’ gratis. Chi vuole aiutarmi a farne un altro, dà il suo contributo online.
A chiedermi di fare il film erano stati proprio gli organizzatori del No B Day.
Io ho messo insieme un gruppo di 15 filmaker, molto bravi, che non si sono fatti pagare, e abbiamo girato tutta la manifestazione.
Poi bisognava trovare i soldi per la post produzione. Roberto Missiroli, un grande, ha accettato di montarlo. A fine luglio era pronto e ho cominciato a proporlo per la distribuzione. Che però ha tempi lunghi. Ma quando ho visto che un altro No B Day era stato convocato, in un clima purtroppo deteriorato dalle divisioni interne, ho preso la decisione di distribuirlo in questo modo, perché volevo che fosse un film utile. Speravo che sarebbe servito a ricreare lo spirito di quella giornata eccezionale. Due ragazze straordinarie, Elly e Colly (Elena Schlein e Alessandra Coliva) hanno organizzato una quarantina di proiezioni in tutta Italia, prima del 2 ottobre. Anche a Parigi e Londra. Alcune anche sui pullman che vi hanno portati qui.

FARE CONTROINFORMAZIONE
Questo per quanto riguarda il mio lavoro. Ma vorrei concludere sulla controinformazione.
In Italia si è formato un blocco di potere che mette insieme le mafie, parte della politica e parte delle imprese, con la banca vaticana a riciclare e i servizi segreti a fare il lavoro sporco.
Sono cose pesanti da raccontare. Magari ti lasciano mostrare un tessera del mosaico, ma il quadro completo fa troppa paura, quello lo trovi in alcuni libri. Ma chi legge i libri in Italia?

Questo è il panorama in cui deve agire il giornalista indipendente.
In un Paese come questo fare informazione in modo libero equivale a fare controinformazione.
Fare controinformazione è fare informazione dove comandano le mafie, le logge massoniche, i poteri occulti.
L’informazione deve denunciare gli abusi del potere e in Italia il potere delle mafie dilaga. Ci sono realtà in cui Mafia e Stato diventano la stessa cosa. E giornalisti costretti a vivere sotto scorta per aver denunciato questi intrecci.
Non  sono necessariamente giornalisti “alternativi” o di “controinformazione”. Sono giornalisti che fanno il loro dovere.

La controinformazione non è soltanto quella che fa un cane sciolto come me, o che fanno alcuni siti, utilizzando quello spazio residuo di libertà concesso dalla rete.  Fanno controinformazione, in questo panorama, anche i giornalisti che lavorano nelle testate istituzionali e nei classici mezzi d’informazione: grandi giornali, televisioni.
Basta che cerchino di dare le notizie in modo onesto. Perché non sono loro a fare controinformazione. E’ il sistema che si muove contro il loro diritto dovere di fare informazione.

Fa informazione libera (e quindi controinformazione in un Paese come questo) il giornalista che riesce a difendere la propria indipendenza, pur lavorando nelle grandi testate istituzionali, che spesso sono soggette all’influenza dei poteri forti.
Fa informazione libera, e quindi controinformazione, chi lavora rispettando un patto di fiducia, che non è con l’editore, che in Italia non è quasi mai un editore puro, e quindi ha altri interessi da difendere più importanti per lui della libertà di stampa.
Un patto di fiducia che non è nemmeno con il direttore, che spesso assume il ruolo di guardiano degli interesse dell’editore.
Sto parlando di un patto di fiducia con i lettori, o con quelli che guardano i telegiornali e i programmi d’informazione.
Il giornalista indipendente, sa di dover rispettare il suo patto di fiducia con questo pubblico, anche quando lavora nei canali istituzionali, quelli più prudenti e più propensi alle censure.

Il giornalista sa che rispettare questo patto potrebbe avere un prezzo: magari verrà emarginato, sottoposto a mobbing, se è un precario il suo contratto non verrà rinnovato.
Eppure ci sono giornalisti, anche piccoli giornalisti sconosciuti, che difendono questo patto. Lavorano dentro e fuori il sistema dei grandi mezzi di comunicazione. A volte il loro lavoro viene riconosciuto, a volte no, così sono infelici e frustrati, perché pagano il prezzo della loro indipendenza. Ma difendono quel  patto, che è il senso e il cuore della nostra professione.
E pensando a loro, a questi colleghi, io mi sento orgoglioso di aver scelto questa professione.

                                                                                                                             Claudio Lazzaro

Nessun commento: